VISIONI#18 - A stolen life - L'anima e il volto
È un discreto film, nulla di più, forse (?), anche se i primi venti minuti, fino alla comparsa della sorella, della seconda Bette Davis, di quella cattiva e pericolosa, sono scialbi, insignificanti, quasi da buttare. È la monotonia da cui Bill, un passivo Glenn Ford, vuole scappare, l'assenza di "crema sopra la torta"; se è tentativo cinematografico volontario è reso alla perfezione.
Entra la seconda Davis e gli effetti speciali, è il 1946, si rivelano immediatamente notevolissimi, non è semplice split screen o uso di controfigure o inquadrature ad escludere; c'è un lavoro di maschere (la poltrona) mostruoso per l'epoca, c'è Bette Davis che accende un fiammifero e lo passa all'altra sé. Si diceva: inizia come una commedia sentimentale, subito smaccatamente commerciale e melodrammatica, e così prosegue con qualche guizzo grazie alla doppia presenza dell'attrice; la svolta, la morte della gemella cattiva, anche se cattiva non è, solo libertina, solo annoiata, arriva troppo tardi, molto dopo la metà del film. E qui il paragone è obbligato con Dead Ringer, Chi giace nella mia bara? in italiano: diciotto anni dopo, la Davis è nuovamente nei panni di due gemelle in lotta per un uomo, una giunta al successo, una fallita. Il film del 1964 ha uno sviluppo completamente opposto: la parte iniziale, insomma, fino al cambio di identità, è molto breve, mentre la seconda, quella di mantenimento del nome agognato, è ottimamente realizzata, complice un Karl Malden maestoso; i dubbi, le paranoie, i tentativi di nascondere la verità tengono alta la tensione e l'attenzione fino al necessario gran finale (quindi, totalmente l'opposto di L'anima e il volto dove, è vero, la sostituzione d'identità avviene in seguito a un incidente e non un delitto; l'enorme lunghezza della vicenda pre-switch cerca di mantenere alto l'interesse con i possibili sviluppi amorosi di Kate e con la passione per la pittura di quest'ultima, insomma, robe a caso).
Uscendo dalla parentesi, si può tranquillamente affermare che il personaggio del pittore, oltre ad essere particolarmente fastidioso, è inutile rispetto agli sviluppi successivi della trama e totalmente fuori fuoco (se l'attenzione deve essere sulle vicende amorose); manca incisività, non c'è corrosione e gioco sull'ambiguità dell'io; il finale è, forse, leggermente affrettato. A salvare il tutto, insomma, ci pensa lei, la divina Bette Davis, anche produttrice, i cui meriti sono innegabili. Dirige Curtis Bernhardt, carriera da mestierante e non da autore (mi manca L'ambiziosa, sempre con la Davis, da lui diretto e scritto); accompagna, più che dirigere, A stolen life (la vita "rubata" è quella di Kate insieme a Bill; banale ma molto meglio dell'inutilmente criptico-poetico titolo italiano) verso il lieto fine obbligato, e la credibilità?, che tutti si aspettano.
6-
0 commenti:
Posta un commento