VISIONI#22 - Blackhat
Premettendo che Michael Mann ha molti meriti, e forse enormi, i meriti, nel campo action-cinema di genere-americano tout court, inizierò elencando le cose che di Blackhat, sua ultima opera, 2015, flop annunciatissimo, non mi sono piaciute: la colonna sonora, o meglio lo score, la cui paternità pare dubbia, ci sono state delle diatribe a proposito dell'utilizzo o meno di buona parte della produzione specifica per il film di Hatty Gregson-Williams (paternità accettata da Atticus Ross e, a sorpresa, da The Haxan Cloak, wow! sembrerebbe, eppure Michael Mann si diverte a tagliare e incollare a suo piacimento brani e pezzi, regista vero in un mondo finto, e il risultato è un disastro); l'uso di più camere differenti: apprezzo la scelta di andare fully digital, ma nelle sequenze di azione più pura sono evidenti inquadrature e intere scene a risoluzione più bassa, quasi televisiva, e la fluidità ne risente, così come il livello della fotografia, per il resto estremamente alto (come al solito); gli attori, dio!, gli attori, banale eppure vero, o forse sono i dialoghi, insomma, i dialoghi e/o gli attori, incapaci di o soggetti a, insomma, il punto è questo.