martedì 8 marzo 2016

VISIONI - Ape


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Ape, 2012, primo lungometraggio di Joel Potrykus, è inaffrontabile (positivamente parlando) per originalità e complessità; si distanzia senza nessun timore, con piena consapevolezza, da qualsiasi corrente possibile, da qualsiasi catalogazione. La sua grandezza, la sua impossibilità sta proprio lì.

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Ape, storia difficile da raccontare (e si legge Eip, ovviamente, il primate, la scimmia), narra le gesta di Trevor Newandyke, comico professionista o aspirante tale (e il paragone non può che essere con Entertainment di Alverson, anche se quest'ultimo è più recente) e delle sue difficoltà nell'affermazione di sé nella professione, e quindi nella vita. L'ossessione per il fuoco è favolosa in quanto cosa c'è di più bello della piromania? Il fuoco come fuga, così come la musica (caratteristica fondamentale anche di Buzzard, ovviamente), e fuga inteso come necessità di, sogno irrealizzabile, estromissione da. La parabola di Joshua Burge, il protagonista del film, è una vera e propria citazione dei miti più antichi e più rappresentati: è un Faust post moderno, anche se l'etichetta è veramente restrittiva, vista la serietà con cui viene trattata la figura del diavolo, inconfondibile nel suo essere contro e antipatico a tutti i costi. Come anche in Buzzard, il finale è aperto e pieno di potenziali interpretazioni, e per me è un peccato, anche se, anche se: una mezza delusione in quanto mancata possibilità, invece che enorme possibilità. Grandi i co-protagonisti, inteso come personaggi, ovviamente: ottimo Spicer, fantastico Cisco, e così anche Dick Yoba, necessari il diavolo e il vicino e la vicina e la donna dell'autobus e il commesso del 7-11 e così via, che spaccato di società, che maestosità (sto dimenticando, colpevolmente, il signore dei Doritos). Ed è come se Potrykus, con questo e il film successivo, volesse dare un'idea allo spettatore del vero mondo che ci circonda (inteso come mondo US), inteso come middle class, inteso come bianco, licenza media e repubblicano (o non votante). E non posso che rimarcare la vicinanza con Alverson, The Comedy, da vedere e rivedere.

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Detto questo, e considerando che ho visto prima il successivo Buzzard e poi questo Ape, va considerata l'enorme vicinanza delle due pellicole, non solo come temi, ma anche come viaggio, svolgimento, finale (soprattutto!); e va sottolineata la minor completezza di Ape nei confronti del capitolo successivo (perché di continuità bisogna parlare) per quanto riguarda realtà e permanenza e aderenza e transitorietà. Il livello no budget viene completamente dimenticato, comunque, e questo è un grande merito (riconosciuto a Potrykus anche a Locarno) perché vuol dire che l'idea, la narrazione e tutto il comparto tecnico sono strepitosamente all'altezza. Manca il grande passo, quello che completa il cerchio, e chissà che non arrivi con il prossimo, o chissà che non fosse già stato trovato con Coyote (prossimamente, su questi lidi), 2010. Unico appunto: dove sono le donne?, dove il sesso, unico vero motore di tutta la società contemporanea? Quasi come se ci fosse una piccola (auto) censura, una restrizione per ora ancora invalicabile; un peccato, senza dubbio. Inutile, infine e comunque e necessariamente, affermare ulteriormente l'importanza della voce di Potrykus; fuori dal coro, ovviamente.

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