VISIONI #29 - Paradise: Love
Il primo film della trilogia Paradies, Liebe (Love), è riconoscibile come Seidl allo stato puro sin dalle primissime inquadrature: gli autoscontri e un gruppo di disabili, la provincialità, l'emarginazione, la bruttezza esteriore, quotidiana, distruttiva. È, forse, per questo che Teresa, una magnifica Margarethe Tiesel, incredibile, decide di regalarsi (per il proprio compleanno?) una vacanza in Kenia, senza figlia (protagonista del terzo capitolo Hope), sola, finalmente.
Dopo aver lasciato il gatto di famiglia dalla sorella (Faith), l'Africa si svela nella sua umanità alla donna austriaca, This is Africa there is Europe, nei suoi vizi, nelle sue necessità. I soliti spazi interni claustrofobici perfetti si accompagnano a esterni maestosi e colorati, il tutto condito con un gusto per il simmetrico e la composizione fotografica ormai manifesto in ogni inquadratura fissa e al suo apice; i raccordi, a mano, in spalla, imprecisi, ci portano dietro Teresa, dentro la sua ricerca, compagni di viaggio. In scena il grande declino della civiltà occidentale che, inabissandosi, trascina con sé tutti, involontariamente, inconsapevolmente, trionfalmente. Teresa, nella sua improbabile missione alla ricerca dell'amore, capisce che nessuno dà niente in cambio, lezione semplice eppure non assimilata; nel suo continuo trattare gli indigeni alla stregua (si dice ancora?) di esseri inferiori e stupidi, non si accorge di essere al contempo raggirata e trattata alla stessa maniera da Munga, e poi da quello successivo e da quello dopo ancora.
Demoralizzata da qualcosa che le era chiaro sin dall'inizio, ma che non voleva vedere, decide di concentrarsi solo sui piaceri della carne, del sesso squallido e meccanico, anche se una serie di incomprensioni, barriere, paranoie (sull'età, sulla bellezza, sulla differenza razziale, White Lady) la porteranno fino in fondo all'abisso personale. Finalone (per lei) sul mare, camminando senza meta. Due le scene incredibili ed estenuanti (oltre alla già citata sequenza iniziale): prima, la festa per il compleanno di Teresa, un disastro perfetto e che non lascia scampo a nessuno, una rappresentazione incredula della meschinità e grandezza del genere umano tutto; subito dopo, il rifiuto del barista in camera da letto, la sconfitta finale, la perdita della dignità, la maestosità nel lasciarsi vincere dal disgusto verso se stessi. Funziona, e molto, Seidl, anche al di fuori della coralità; riesce nei suoi intenti perché nel primo girone infernale, anche se la protagonista è singola, l'umanità messa in scena è totale, spiazzante, variegata. E non si vede l'ora di scavare, di proseguire, per capire dove siamo finiti, senza accorgercene.
7,5
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