VISIONI - The forbidden room
Non è facile parlare di The forbidden room di Guy Maddin, e so che l'ho detto di mille altri film ma tant'è; considerando poi che questo è il mio primo approccio con il regista canadese, il lavoro, per me, diventa ancora più difficoltoso. Non starò certo ad ammorbarvi con wikipedia e winnipeg, manitoba, quindi solo 2015, solo contesto e pensieri.
Subito, insomma non istantaneamente ma presto, ecco, presto, sono tre i concetti (si dice ancora?) che giungono in mente (a me, allo spettatore?): l'idea di mito, la teatralità e la presenza ingombrante della postmodernità. Il mito, dunque, soprattutto nella storia di Margot e dei Red Wolf, e delle prove da superare e la caverna, il luogo per eccellenza di qualsiasi mito che si rispetti. Soprattutto, il fattore determinante per la cattura di un'idea così vaga e cercata da antropologi e storici e letterati è il tempo, il favoloso illo tempore. Quindi, distruggendo il concetto di tempo, Maddin fa un favoloso omaggio al mito e riporta tutti alla postmodernità, al pastiche di luoghi e spazi e personaggi; e quindi spazio alle favole russe di Afanasiev (e mi sono seriamente commosso con la citazione dal Vascello Volante) e ai film perduti di Murnau e Naruse, ma anche una potenziale guerra mondiale distopica e/o futura con sottomarino e bomba gelatinosa e feste e radiografie e il dio Giano. La teatralità che emerge è, a differenza degli altri due aspetti, più legata alla recitazione vera e propria e alla netta preponderanza degli attori sugli scenari (veri e propri sfondi, spesso proiettati o comunque aggiunti in post produzione, elemento di cui si parlerà in seguito ovviamento) che all'idea di cinema di Maddin; il cast è estremamente variegato e enormemente all'altezza, Udo Kier, Mathieu Amalric (wow), Geraldine Chaplin, Charlotte Rampling, Louis Negin, Ariane Labed (doppio wow, ovviamente!). Il ritorno al cinema muto, come idea di base, come partenza per la ricostruzione, è sottolineato dai continui titoli che avvisano, tutelano, introducono e raccontano. Il favoloso aswang, così come lo stupendo amnesia, è preciso e fantastico nell'introdurre un'idea, un sottile pensiero e riferimento a, ed ecco un mondo, ecco il cinema. Le storie si incatenano e si confondono: si va avanti e indietro un paio di volte, dal sottomarino fino a un possibile universo parallelo che contempla baffi e tunnel pelvici e feste di compleanno a sorpresa con Ariane Labed; il riferimento più ovvio e contemporaneo e distante millenni di anni luce è l'
Arabian Nights di Gomes (che sprofonda nel reale, facendo quindi un lavoro simmetricamente opposto).
Infine, come non parlare dell'immenso lavoro di post-produzione di The forbidden room (e da lavoratore del settore sono enormemente invidioso del risultato, considerando che il co-regista Evan Johnson ha dichiarato di essere arrivato all'effetto smanettando casualmente in After Effects); le parole che mi vengono in mente per descrivere la messa in scena è materia filmica pulsante. Come se il film (o l'idea di film, cioè come dire il Film, il noumeno, la categoria) cercasse di farsi strada attraverso i personaggi, attraverso le inquadrature e la visione. Ed è perfetto, questo risultato, per confondere maggiormente lo spettatore, cosa è sogno, cosa è realtà, cosa non è realtà. Quindi, gran risultato, stimolante a diecimila, originale e visivamente edificante, complimenti a Maddin, regista che scoprirò senza dubbio.
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