venerdì 21 ottobre 2016

TELEVISIONE#12 - Easy



Easy è (molto e senza dubbio alcuno) joeswanberg-iana fino al midollo e più in fondo ancora, in ogni minima cellula possibile e rintracciabile. E come è giusto che sia, rispecchia la voracità e l'istinto del proprio creatore, il suo continuo muoversi e fare e disfare e spingere sempre sull'acceleratore, anche quando non ce n'è bisogno, anche se all'apparenza sembra sempre tutt'altro.




E va, di conseguenza, affermato che non tutti gli episodi sono di qualità, anzi, questa spesso va e viene anche all'interno dello stesso episodio, anche all'interno della stessa scena; ed è una caratteristica intrinseca della leggerezza di cui Swanberg si fa portavoce, ma non manifesto, sin dal titolo. Easy, appunto, quasi come a dire facile (ahaha), inteso come semplicità, banalità, normalità (qualcuno ha detto normcore, o forse il suo epigono mumble?), anche e soprattutto in relazione alla pesantezza e alla presunta profondità di tutto quello che ci viene presentato come possibile visione. Ma torniamo all'inizio: insomma, qualità molto variabile e, proprio per questo, ci tengo (moltissimo) a fare un elenco tipo y/n/maybe: 1, sì per me e non solo perché compare la bellissima faccia di Michael Chernus, 2 no, molta noia e banalità spinta, ma non di quella che fa bene, anche se io non transigo su certe cose (ripetizione di sé), 3 no, mai, nonostante Dave Franco, 4 sì, perché è mezza in spagnolo, perché è banale e sa di già visto, ma la messa in scena è intelligente e rinfrescante e possiede una serie di livelli di lettura intriganti (nonché il finale migliore degli episodi di Easy, insieme al primo, The F**king study), 5 sì, perché c'è Emily Ratajkowski e poi è il più contemporaneo e batte territori non esplorati e compare Chris Ware (sì, lo so, questo name dropping è pessimo), 6, incredibilmente, sì, anche se c'è Orlando Bloom, 7 no, non me lo ricordo neppure, e l'ho visto meno di una settimana fa, 8, forse, anche se è il proseguimento dell'episodio 3, il peggiore della serie (nonostante Dave Franco), perché è implacabile nella maniera in cui piace a me.
Finita la lista (di cui sono molto fiero), si può dire che il tema portante di Easy è il sesso, la cosa più facile del mondo (e Joe Swanberg lo sa e si guarda bene dal non renderlo manifesto). Il sesso che può essere esplicito, senza mai andare oltre i canoni del rating R, eh, sia chiaro, o solo discusso, o solo desiderato: nelle sue varianti, dà il via alle storie, ne è parte fondamentale oppure solo un contorno, ma la sua presenza non è mai in dubbio.




Senza nemmeno dirlo apertamente e sfruttando la moda della serie antologica (seppur in piccolo), Easy è uno studio incredibilmente vasto (ma non per questo complesso, e qui sta il limite di Swanberg; come se Black Mirror, nella sua capacità di toccare più ambiti e aspetti legati al futuro prossimo tecnologico dell'uomo, fosse parimenti banale) del punto a cui siamo arrivati per quanto riguarda il mondo uomo-donna (non in senso etero, ovviamente), del modo di relazionarsi all'interno di sottogruppi appartenenti allo stesso (o diverso) genere e con differenti posizioni nella dolcissima scala Kinsey. Il cast è eterogeneo al punto giusto, con dei nomi grossi (per Swanberg) e altri più raffinati ed esigenti, Jake Johnson, Jane Adams, Elizabeth Reaser, tra gli altri (e poco sopra avete assistito a un name dropping vecchio stile); funziona, per la maggior parte, e buona, molto, è stata la capacità di Swanberg nell'incasellare tutti nel ruolo adatto alle proprie caratteristiche (e non puramente fisiche). Vale la pena? Come studio e rappresentazione antropocentrica dell'oggi certamente no, ma come visione diversa e affascinante e spensierata (finalmente, e non troppo banale, oltretutto) focalizzata sull'esperienza sessuale oggi (non aspettatevi perversioni con animali e sbiancamento anale, eh) sì.

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