mercoledì 29 aprile 2015

VISIONI #7 - City Girl - Il nostro pane quotidiano



Friedrich Wilhelm Murnau dirige, si ammala, si dimette, sbatte la porta in faccia a tutti. Siamo nel 1930, nel pieno del tramonto del cinema muto, il sole se ne è quasi andato, e Murnau prosegue imperterrito; Aurora è stato un successo enorme e il regista porta avanti il discorso con City Girl (Il nostro pane quotidiano, in italiano; è sia una battuta del film sia la scelta iniziale di Murnau, considerando la centralità del raccolto nell'avanzare della storia).





La ragazza di città , in questa occasione, è buona (nel senso più ampio e corretto e classico del termine), dolce, gentile, sogna la campagna; si innamora di un giovanotto, contadino, alto sei metri, forse svedese, in realtà figlio di scozzese, madre canadese, plain american. Tutto questo per dire che i dialoghi, nonostante una versione sonora con dialoghi sia stata montata, e perduta, a City Girl non servono: non servono in quanto le immagini parlano, raccontano, diventano arte. Ogni singola sequenza è perfettamente spiegabile senza cartelli, che aiutano, è vero (però?), ma il racconto è visivo, in maniera splendida, meravigliosa. Il confronto città-campagna è tremendamente efficace: la città, la gente in coda al bancone del bar, la folla che attraversa la strada, in cui i protagonisti si perdono, la stazione che non aspetta nessuno, il vaso con la pianta impolverata, fuori dalla finestra; dall’altra parte la campagna, la meravigliosa sequenza della corsa nei campi di grano dei due novelli sposini, la casetta sperduta, la colazione tutti insieme, la pecora sotto l’albero di un calendario immaginario (Ah, che bella la vita in campagna, farebbe dire a qualcuno Alessandro Blasetti).




Eppure anche la campagna ha i suoi lati negativi, l’ignoranza, la chiusura mentale degli uomini, il magnifico padre di Lem, quel volto granitico, scolpito, maestoso, il luciferino, wow!, Mac che ammicca, scombussola, distrugge, o almeno tenta di. E poi tutto viene affrettato, la conclusione è mezza buttata, tutti si ravvedono, il lieto fine è condensato in dieci, dieci, minuti, disaccordi con la casa di produzione, pare, eppure è tutto così narrativamente importante che quasi te ne dimentichi, di questa fretta, a chi importa (?) quando è tutto tremendamente (di nuovo) classico, pieno di arte, di storia, di cultura cinematografica. È Murnau, prendere o lasciare!

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