venerdì 10 aprile 2015

VISIONI #1 - The lion in winter - Il leone d'inverno


Sei un abisso di ignominia. What a tragedy you are.
Ci sono Peter O'Toole e Katharine Hepburn che lottano con(tro) la Storia. Non è centrale la perfetta aderenza a questa, anzi, è il punto meno importante filmicamente parlando, si dice filmicamente?, ed allo stesso tempo quello più affascinante per un profano come me.
C'è Anthony Hopkins, ed è bellissimo e al suo semi-esordio, cioè esordio in un ruolo principale, che decide di impegnarsi e fare ciò che gli riesce meglio, inquietare e risultare (in)credibile. Ho finito le parentesi. C'è Timothy Dalton che, con molto onore, prova a rubare la scena a tutti gli altri mostri-personaggi storici-attori, in particolare nella magnifica sequenza in cui tutti sono nascosti dietro gli arazzi e c'è enorme tensione narrativa, storica, generazionale, sessuale.





Lo script è oltremodo pazzesco e, quindi, nella divertita traduzione italiana ci si dà degli stronzi a vicenda, letteralmente, e allo stesso tempo, nella sua complessità linguistica, risulta anacronistico e aulico, anche se aulico è, senza dubbio, un aggettivo terribile. L'Aquitania è importante per tutti e qualche minuto dopo a nessuno frega più un cazzo e si punta la dote di Alais e, nonostante tutto, gli intrighi reggono alla grandissima perchè è scritto come si deve, e non mi stancherò di ripeterlo. Ho trovato echi shakespeariani forti e potenti, è tutto macbethiano, teatrale; le alternanze tra i vari personaggi sono la rappresentazione più evidente di ciò: camera semovente, Enrico II va a sinistra con uno dei figli, uscendo di scena, e a destra c'è Eleonora di Aquitania che sta per scendere le scale. Semplice, perfetto; ogni cosa è al suo posto, e nello stesso piano sequenza, e non si nota perchè i movimenti sono fluidi, i meccanismi sono rodati, come devono essere. La fotografia è classicamente satura, bilanciata, contrastata.




La prima scena è già tutto, quel Come for me urlato ti proietta dentro una sfida continua, continua, continua ed infatti "come ci si diverte ad essere re". E poi un sacco di Karamazov, non so come, non so dove, ma ci ho pensato, molto; i tre fratelli, i caratteri così marcati e caratterizzati e differenti e, allo stesso tempo, tutti, splendidamente, senza scampo. La Storia è così calata nel cinema, nella storia, che la veridicità della rappresentazione della famiglia di Enrico II è quasi secondaria; famiglia stranamente moderna, sia chiaro. Anthony Harvey domina una macchina perfetta con qualche guizzo, assecondando la naturale teatralità della sceneggiatura, incredibilmente spinto anche dalla altrettanto incredibile colonna sonora, che sin dai titoli di testa si fa presente e necessaria per questo magnifico gioco. Ed è anche, nel suo complesso, un film leggermente distaccato, austero, ma è colpa della Storia, credo, della sua forza e della sua ineluttabilità.

8+

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