martedì 28 aprile 2015

VISIONI #6 - Hundstage - Canicola



Ulrich Seidl ci butta in faccia la bruttezza. Esteriore, interiore, umana, dei sentimenti. I corpi sono oggetti, nient'altro, corpi inteso come persone, oggetti deformi, scombinati. In Canicola (Hundstage), del 2001, il regista austriaco distrugge, o almeno prova a, l'intorno, il vicinato, piccolo borghese tanto comune e tanto banale. Sei storie di solitudine e di incomunicabilità, laidezza, umanità.




La canicola del titolo, il calore inafferabile e imbattibile, è ciò che genera, o porta all'esasperazione, noia afosa (estiva), chiusura verso l'esterno (alla ricerca del fresco), desiderio di spogliarsi, aumento della follia (umana), insopportabilità (di se stessi, degli altri), aggressività; Seidl è il burattinaio, la mano si sente eccome, di queste piccole realtà. I collegamenti sono fragili, tanto sottili quanto forzati, ma sono scelte e non si discutono (?). Il paesaggio è artificiale, obbligatoriamente, benzinai, centri commerciali, supermercati, quali sono i dieci migliori? La meccanicità è in ogni azione, nel sesso, principalmente, questo sì, ma anche nel prendere il sole, nel tagliare il prato, nel cantare, nell'accumulare cibo in dispense ordinate e assurde, nell'essere. Il tono è asciutto e distaccato, nonostante l'ingombrante presenza di una mano superiore (come già detto).




Eppure ci siamo, ogni cosa è al suo posto, il totale dovrebbe sconvolgere, colpire, segnare, ma non lo fa, o almeno non lo fa come potrebbe (dovrebbe). È vero, abbonda il grottesco e la nuda pelle, la stranezza ed il sesso esplicito, anche se totalmente anti-erotico, però perché non rischiare? Perché non andare oltre la rappresentazione del disfacimento umano, della carne in decomposizione per mostrarci limpidamente e palesemente la mania, la malattia, la bellezza dell'osceno. Ci si ferma sempre un attimo prima del botto, del pugno in faccia, sono scelte, si dirà, l'osceno fuori dalla scena, ma in una carrellata di umanità cosi sfaccettata e straniante avrei preferito il passo successivo (non il perché, ma il dopo). Senza dubbio, è buono, ottimo cinema, in fin dei conti, le inquadrature non sono mai banali, nonostante l'assenza (quasi totale) di movimenti di camera e primi piani. La personalità, che si vede, si sente, sta proprio lì: nell'immobilità (dell'occhio) come antidoto al declino umano.

7+

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