mercoledì 27 gennaio 2016

VISIONI - Irma Vep



Irma Vep, primo lavoro di Assayas con Maggie Cheung, colei che, per un po' (si può dire?), sarà la sua compagna di vita, è un film ombelicale, artistico e irrisolto; la definizione si sposa bene a una certa idea di cinema francese, come il regista fa osservare ad uno dei suoi personaggi, e consente una sorta di autoanalisi feroce e indulgente (nel senso di furba) allo stesso tempo.




Ovviamente, i grandi temi sono due: quello linguistico e quello metacinematografico. Il primo, palese sin dai primi minuti con l'utilizzo della doppia lingua, l'inglese che vuol dire mondo e il francese che vuol dire casa, si adatta alla perfezione alla situazione ritratta: un'attrice asiatica nel centro dell'Europa più continentale, senza conoscenti, senza riferimenti. Il senso di disorientamento che il regista francese vuol far emergere in Irma Vep si esplicita meravigliosamente nella scena della cena con la costumista e i suoi amici; l'inconciliabilità dei due mondi, insomma il non capirsi, soprattutto per quanto riguarda le questioni affettive, è un elemento costante della pellicola. Se a questo si aggiungono la differenza per quanto riguarda il bagaglio culturale di ciascuno e le diversità enormi fra oriente e occidente (e il favolosissimo Lou Castel, regista di rimpiazzo, dice che cazzo c'entra una cinese con Musidora e Les Vampires e il cinema francese classico?), lo spaesamento dell'attrice di Hong Kong è rappresentato in maniera quasi totale, in tutte le sue sfaccettature (un esempio è la scena in cui l'altrettanto favolosissimo Jean Pierre Leaud cerca di spiegare la recitazione espressionista alla protagonista del suo e del nostro film). Proseguendo, dunque, con il secondo macrotema, quello metacinematografico, poco (e tantissimo) si può dire: insomma, Maggie Cheung in un film francese che fa Maggie Cheung che recita in un film francese. E rilascia interviste, clamorose, ma ci ritornerò fra poco, e vive in albergo e ha una controfigura e riguarda i provini e stringe amicizie ed entra nel personaggio. Interviste, appunto; una per la verità, e fantastica, vero centro focale del meta-film (ma non del film, come dirò in seguito). Maggie dice che non ha visto molti film francesi e l'intervistatore le dice cosa ti sei persa? nulla, cara Maggie, guardati Jean Claude Van Damme e lei dice chi? e lui dice tutti questi registi francesi non riescono a non riprendere nient'altro che il proprio ego, a fare dei film su se stessi e Maggie non capisce e cosa altro si può dire? Come sempre, quando si tratta di film meta (tutto), le citazioni sono molte, Attenzione alla puttana santa di Fassbinder sicuramente (su stessa ammissione di Assayas), il film più situazionista del regista tedesco, e forse Effetto Notte di Truffaut (il ruolo di Leaud, il lavoro di squadra, le difficoltà), ma c'è anche (una certa idea di) Godard, necessariamente.




E arriviamo, infine, al centro del film, la sequenza più riuscita e quella più artisticamente valida: Maggie, consciamente o inconsciamente che sia, si libera del ruolo dentro al ruolo e recita, finalmente libera dei vincoli imposti dal personaggio e dal finto regista Leaud; interpreta Musidora come desidera (Assayas), alla sua maniera e nella realtà (che, giustamente, è cinematografica), sotto la pioggia, di corsa, in affanno. Ed è finta verità e l'unico sprazzo di non meta; ed è effettivamente funzionale, incomprensibile e svolta necessaria allo stesso momento. Ricapitolando: due macrotemi espliciti e riusciti, una grande sequenza, attrici e attori favolosi, script perfetto. Sembrerebbe un gran film, eppure non funziona nel suo complesso, non esce dal suo essere ombelicale, un limite enorme per un'opera, nonostante la dichiarazione esplicita della sua autoreferenzialità. Non muove nulla e nemmeno rimane fermo; anzi, evidenti sono i momenti di stasi registica e non perfettamente a fuoco. Anche se, e qui si va sul meta-meta-tutto, rappresentare i momenti di difficoltà creativa con sequenze meno riuscite sarebbe (e forse è) un gran pregio. È un film imperfetto, Irma Vep, nato per esserlo e per dividere il pubblico; affascinante, senza dubbio, eppure, eppure, eppure.

6,5

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