martedì 2 febbraio 2016

CORTI#5 - Ménilmontant



Non ricordo la prima volta che sentii parlare di Menilmontant; sono passati mesi, anni, sicuramente troppi, e ho fatto male a lasciarli trascorrere, forse spaventato dalla fama, forse nemmeno troppo incuriosito. Dimitri Kirsanoff, russo di quando la Russia era Impero, gira nel 1926 il suo secondo film (anche se il primo è purtroppo andato perduto) e lo chiama Menilmontant, come il quartiere di Parigi, la città che l'aveva accolto e che gli aveva aperto le porte di un mondo culturale e avanguardistico e sperimentale e, insomma, Parigi!




Subito, evidente, la modernità e la bellezza delle inquadrature; e la rapidità, il montaggio concitato, la storia! Si inizia in medias res, come meglio non si potrebbe: un brutale duplice omicidio, senza motivo (?, come se ce ne fosse bisogno), costringe due sorelle a una vita dura e piena di insidie. E da questo splendido avvio (che dura meno di cinque minuti) si possono subito trarre due conclusioni: la prima è che, forse, la bellezza e modernità delle inquadrature sono dovute in buona parte alla moderna bellezza (e mi si perdoni il gioco di parole) di Nadia Sibirskaia, favolosa protagonista; la seconda è la presa di coscienza su quello che verrà, un melodramma, inizio svolgimento fine compresi. Quindi, un intreccio narrativo tragico strepitoso e banale allo stesso tempo, il cui culmine è la famosa scena della panchina e del pane e del signore con i baffi, roba da rimanerci secchi per il puro patetismo e la bellezza lirica. Va detto che la versione ri-editata con la colonna sonora scritta e interpretata da Paul Mercer spinge molto sull'emozione, sul caricare le immagini (seppur in maniera estremamente convincente) di significato e ad uno spettatore moderno, senza musica, non verrebbe mai in mente di commuoversi. Anche se non sembra, sto affermando chiaramente che la nuova OST è clamorosa (anche se, teoricamente blabla...). Chiedersi dove sta la sperimentazione in un dramma fatto e finito di 38 minuti non è sbagliato e sarebbe semplice dire che non ce n'è il tempo; eppure Kirsanoff riesce nel suo intento e porta avanti un discorso di avanguardia stilistica all'interno di Menilmontant, facendolo in maniera strepitosa. Il film dentro al film, una serie di inquadrature a mano in giro per Parigi, è caratterizzato da rapidi quadri cittadini: le vie trafficate, i marciapiedi, i lampioni, la metro, i negozi. E solo questo, montato in maniera veloce, frammentata, dal dettaglio al totale e di nuovo il dettaglio, potrebbe essere la concessione all'avanguardia, e avanti di parecchi anni, per quel poco che so, umilmente.




Notevoli sono gli espedienti tecnici: l'esposizione multipla, ovviamente, forse per la prima volta, comunque prestissimo, e le bellissime dissolvenze; e ovviamente anche gli aspetti più minimamente teorici, le ellissi temporali su tutto. Il sole, il calendario, i segni sul muro, le luci che filtrano attraverso le finestre sono i segnali del tempo che passa e lo sono senza interrompere la narrazione; ed ecco il favoloso flashback dell'infanzia perduta in seguito al primo rapporto sessuale, così semplice, così brutale. Ci sono due ulteriori livelli di lettura in Menilmontant: il primo è quello dell'introspezione, il secondo è quello della contemplazione. Introspezione, dunque: il flashback di  cui sopra, senza dubbio, ne è un esempio, così come il racconto (inteso come rappresentazione) della perdita della verginità, solo con immagini sovrapposte e il corpo nudo della Sibirskaia a fare da contrasto. E infine la contemplazione, il paesaggio inteso come apertura a mondi possibili e, quindi, nel caso di Menilmontant il ponte da cui ammirare l'acqua e l'orizzonte e perdersi nei pensieri e nella realtà (ed è un pezzo straordinariamente riuscito nel film di Kirsanoff); tecnica poi comune nel cinema di qualsiasi genere e tipo. Eppure, riducendo tutto al livello di interpretazione più immediato, Menilmontant non è altro che uno stupendo melodramma e come è giusto sia è caratterizzato da una concezione ciclica del tempo; infatti, ecco il male, ecco il suo ritorno, ed è come se niente fosse avvenuto, d'altronde che importanza ha? Grande cinema, forse arte, sicuramente rappresentazione, possibilità di visione, incredulità e sguardo.

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