VISIONI - Puffball
Cosa dire di un film che è già un disastro dopo tre minuti tre? Cosa aggiungere a ciò che le immagini evidenziano senza difficoltà? Partiamo dall'inizio. Nicolas Roeg, nel 2007, ha 79 anni e ormai da una ventina d'anni è stato dimenticato da critica e pubblico; i suoi ultimi film degli anni '80 sono stati flop clamorosi e annunciatissimi, e ormai il regista inglese dirige solo straight to video o film per la tv.
Puffball: the Devil's eyeball è il suo ultimissimo film (anche perché Roeg si avvicina alla novantina) ed è, come già detto, un enorme disastro: raggiunge livelli oltre il trash nell'uso di una CGI nata vecchia e fatta male; il famoso rischio del ridicolo involontario di cui Roeg è stato maestro nel corso della sua filmografia è un'arma a doppio taglio e in Puffball si vede eccome. Oltre a tutto ciò, il film risulta spezzettato, come se fosse una serie di scene a caso (ed ognuna buttata via, con rare eccezioni) e il totale fosse di poco conto, del resto non stiamo certo facendo un film, no? Il colpevole, se si può cercare un colpevole, è principalmente uno, e me lo sono appuntato a fine visione: Tony Palmer, l'editor del film, l'artefice dei difetti peggiori di un film pieno di difetti. Nell'ordine, le transizioni - fiamme, le continue dissolvenze incrociate, le ancor più fastidiose dissolvenze a nero, l'incapacità di fondere una CGI mediocre in scena, i continui rallenti senza senso nel mezzo di scene a velocità normale, il mix audio. Mix audio pessimo, certo, anche se l'editor non è stato sicuramente aiutato dalla scelta dei pezzi della colonna sonora, tutti differenti e dissonanti, quasi casuali, come se ogni compositore avesse lavorato senza vedere il film e senza confrontarsi con gli altri parigrado.
Tra le cose migliori, insomma abbastanza notevoli, vi sono la fotografia e la scelta delle location; da segnalare anche la prova della Reilly e della Richardson, buone prove le loro, che spiccano facilmente su un cast altrimenti anonimo. La trama è veramente un pretesto, e mai è stato così palese per un film di Roeg: la storia dell'architetto e della casa che cresce, come la bambina (paragone facile e facilone), e poi la magia voodoo, i funghi, Odino (!), insomma, una serie di casualità per mettere in scena il tema della maternità, che arriva, non arriva, ha dei picchi, ma è veramente troppo poco. E là dove Roeg era maestro, ossia nella creazione di forma senza sostanza (anche se...), qui il gioco non riesce e fallisce miseramente; un gran peccato per una carriera coraggiosa e stilisticamente originale. Ultime due righe per Donaldone Sutherland che ritorna in scena per fare un favore a un amico: ruba la scena sempre e comunque, nonostante il suo screen time sia inferiore ai cinque minuti, sempre affascinante, sempre diabolicamente magnetico.
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