domenica 25 settembre 2016

BEST#4 - Na srebrnym globie - Sul globo d'argento



Al di là dell'incredibile e travagliata e conosciutissima storia dietro alla produzione di Na Srebrnym Globie, a cui non so se accennerò visto che le fonti sono molteplici, sia all'interno del film che fuori, sull'internet, nei libri, nelle voci, il film di Andrzej Zulawski, 1988 è l'anno di uscita per il grande pubblico, è fondamentalmente una e una sola cosa: un'opera enormemente ambiziosa.



La parte più affascinante della pre-produzione è quello del prozio del maestro polacco che si scopre essere un grande letterato e un importante innovatore per quanto riguarda la fantascienza (e ne ero totalmente ignaro); è lui, infatti, con la sua Trilogia della Luna a fornire lo spunto (o la traccia da seguire?, o il testo vero e proprio?, dubbi) al pronipote per quello che è l'auto-dichiarato magnum opus. Zulawski impiega circa quattro anni per scrivere l'adattamento e altrettanti (contemporaneamente, eh) per preparare scenografie, costumi e location. Il resto è Storia. La potenza di Sul globo d'argento, incredibile, irraggiungibile, è anche dovuta a tutto questo "prima", senza dubbio, ma risiede per la maggior parte nella grandezza della messa in scena, paragonabile al desiderio odierno di realizzazione di No man's sky, a Nascita di una Nazione di Griffith, a Dune (libro) e chissà cos'altro. E sono molti gli impossibili debiti che film successivi devono a questo di Zulawski, impossibili perché non si può citare tra le influenze un film che nessuno conosce e nemmeno è uscito, ma ci ho visto molto Dune (film), moltissimo Stalker e un pizzico di Interceptor (nel terzo blocco, la macchina di Jacek e le steppe sconfinate, mongole o balcaniche che siano). Andando al dunque e quindi all'enormità tecnica della pellicola, bisogna dire che i film di Zulawski sono tutti personali e riconoscibili (sembra una frase del cazzo e lo è, però aspettate; personali e riconoscibili prima degli anni '90, eh) e lo sono non solo per autorialità e cagate da libro di cinema, ma anche per errori tecnici e disturbi visivi, per bellezza delle immagini e per una totale mancanza di morale, forse Morale, nella scelta di cosa va o non va in scena. Le cagate da libro di teoria del cinema sono, e sono pazzesche e belle e irriproducibili, i movimenti di camera dinamici e senza controllo, la rottura della quarta parete, la ricerca filosofica e ontologica, la regia prepotente e prorompente di Zulawski. Ma i punti sono tanti, forse tantissimi, e le scene, che sono quelle che dovrebbero parlare, da ricordare sono numerose: su tutte, la tanto celebrata ripresa dall'alto a scendere di corpi impalati a venti metri d'altezza, con viscere e sangue a ricoprire il suddetto palo. E non si può dimenticare la struggente colonna sonora che differisce nei vari capitoli e spezza la narrazione; grandioso l'ingresso in scena di Jacek con le peggiori schitarrate degli anni '80.




L'idea che il cinema possa, consciamente, ricreare un tentativo di origine dell'umanità, o forse di origine della società moderna, ecco, sì, meglio, è stupefacente; farlo partendo (con il tramite) da un genere letterario è ancora più ambizioso. Ecco, Zulawski è in grado, con la fluidità (ahaha) di due ore e mezza di grande cinema, di metterci di fronte alla domanda: Come siamo arrivati al punto in cui siamo ora? Come abbiamo fatto a complicare tutto così tanto (e bene e male, insieme)? Il regista polacco tocca quindi i temi più grossi e inspiegabili e propri della natura umana, e quindi religione, potere, paura e controllo, desiderio, verità, felicità, vita in senso stretto e morte. E lo fa con una prima parte, un quasi Interstellar girato come Blair Witch Project vent'anni prima, estrema e originalissima, con questa idea del mockumentary che arriva sulla terra e che gli scienziati decidono di guardare. La storia di Marta e Piotr e Jerzy, in cui la violenza e la religione sono viste come forme imprescindibili della realizzazione umana, è sconnessa (oltre ai limiti di narrazione dovuti alla Storia) e incomprensibile nella sua complessità e chiusura al pubblico; eppure ciò che succede in scena e ciò che i personaggi gridano e provano non sono elementi alieni al nostro inconscio, anzi, al contrario sono particolari che stimolano la nostra memoria emozionale e umana (intesa come propria dell'umanità, sovrapponibile alla Storia). La verità, la Pravda, è forse il tema portante di tutto Sul Globo d'argento; lo è la sua ricerca, ma anche la sua incomprensibilità; Marek e Jerzy, nel tentativo di raggiungerla, sono derisi e sconfitti, e loro stessi provano indicibile pena e sofferenza nella missione di ricostruire e regnare una società che escluda da sè i propri aspetti peggiori. Gli Shern, unici e veri depositari della verità, sono i nemici, e ciò che dicono non deve essere compreso per non impazzire, per non essere segnati col marchio delle divinità cadute e non più sagge. Aza-Ihazel-Marta, la madre, la potenza generatrice, è l'elemento che, venuto a mancare, provoca grandi scossoni e infinite incomprensioni. Finalone, fuori dalla scena, da pelle d'oca.



Certo è che il capolavoro di Zulawski è lontano dal poter essere definito un film completo, ma anche solo connesso e comprensibile; quello che è chiaro è il suo fascino irresistibile, la grandiosità delle immagini e l'ambizione del racconto. Questo è tutto.

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