venerdì 2 settembre 2016

VISIONI - Beau Travail



Sono molti, moltissimi i temi di Beau Travail, film del 1999 di Claire Denis, regista già ampiamente (non è vero) trattata e che, per lo scrivente, rappresenta il meglio del cinema al femminile contemporaneo (sono terrorizzato da questa frase).




Si può partire dall'uomo e la civilizzazione, la Legione straniera come ultimo baluardo di un mondo che non esiste più ed è destinato a scomparire, l'esercito e la disciplina militare come avamposto della modernizzazione in mezzo ai selvaggi (tra virgolette, ?), ma sarebbe prenderla troppo larga, troppo alla lontana. Oppure dal paesaggio, o ancora dall'uomo vs la natura, e poi dal minimalismo di Denis, e dai suoni, e dalla storia, e dalla Storia, per finire con il grande tema della memoria. Infinite sono le possibili strade, ma per essere veramente a fuoco non si può prescindere dal dualismo Lavant-Galoup, attore e personaggio, e, allo stesso tempo, dal conflitto generazionale (inteso come battaglia omoerotica ed edipica e inconscia, ma ci arriviamo). Denis Lavant è protagonista di una prova enorme, al di là della voce fuori campo, al di là delle doti attoriali; è questione di corporeità, e quindi caratteristica intrinseca dell'attore francese, di viso e corpo a favore della storia, a favore del film. Quasi come se non ci fosse bisogno del racconto, quasi come se quel volto piegato dal tempo e scomposto, rovinato, fosse esso stesso il racconto. E in ogni scena la magia si ripete, sia quando deve fare le flessioni, sia quando deve scavare, e raccontare e soprattutto ballare (nella favolosissima ultima scena). Viviamo il film dal suo punto di vista, a parole, ma non è così per quanto riguarda le immagini che sono tutte, inesorabilmente, contro di lui e a favore del giovane legionario. è la Storia che è contro di lui, non si può dire in altro modo; Galoup è uno dei vinti e lo è per natura, così come Lavant (discorso che andrebbe approfondito, ovviamente). Galoup è uno dei vertici di un triangolo che non definire omosessuale sarebbe capzioso e che, oltre ad essere di natura sessuale, è palesemente generazionale. è proprio Galoup a parlare della bellezza del colonnello Forestier e a descrivere fisicamente il giovane Sentain e innegabili sono le differenze di età tra i tre, talmente ricercate da essere per forza volute. La gelosia, l'invidia, l'indifferenza, il rispetto, la paura, il desiderio, l'autocontrollo sono solo alcuni degli aspetti toccati nel film nel descrivere il rapporto tra i tre, e dove Sentain e Forestier (e anche Galoup, perlomeno in scena) sono personaggi praticamente afoni, muto non è certamente il racconto per immagini (aiutato necessariamente, o forse timorosamente, dalla voce di Lavant), anche se bisognerebbe aprire un discorso sulle scelte registiche e della narrazione molto più ampio di quello che qua si potrebbe fare.




Claire Denis è grande regista, e si vede tantissimo in Beau Travail; il paesaggio emerge bello e maestoso nonostante la sua indubbia povertà e pochezza visiva, ma al di là di una questione di potenza fotografica delle immagini, il lavoro della regista francese è più complesso e complessivo: abbiamo già parlato degli attori (Subor-Forestier ha un viso incredibile, e non stupisce come i tre protagonisti siano attori ricorrenti nella filmografia della regista), ma non si può non menzionare l'aspetto sonoro, lo studio e la ricerca per ottenere la maggiore naturalezza possibile, la sensazione di essere lì, in mezzo ai legionari, e l'incredibile colonna sonora che travalica qualsiasi possibile definizione e incastro, emergendo per potenza semantica in rapporto con le immagini. Ed infine, l'uso della Storia per il proprio racconto, come se fosse questa, la sorella maggiore, a piegarsi verso il piccolo e non viceversa, come se il collegamento fosse obbligato e irrilevante. Rimane quel discorso della voce fuori campo, rimane il dubbio che se ne poteva fare a meno, ma Beau Travail è un gran bel film e quindi ognuno tragga le sue sensazioni.

7,5

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