VISIONI - L'éden et après - Oltre l'Eden
La forma, non capisci? La forma, che per bastare a se stessa deve deformarsi. Anzi peggio: deve deformare la realtà. Così Witkiewicz nel suo Insaziabilità, e cos'altro aggiungere? Oltre l'Eden sta tutto qui, nella favolosa citazione, e aggiungere altro sarebbe superfluo, ma ci proverò.Alain Robbe-Grillet, è il 1970, è nel pieno del suo periodo creativo; influente, universalmente riconosciuto come maestro e al centro della scena creativa francese eppure, come scrive Smolders, uno dei rari cineasti che riesce a fare film erotici che non attirano nessuno. Sin dai titoli di testa (favolosi, davvero favolosi, a un livello quasi godardiano, insomma, siamo tutti lì), la forma vince sopra qualsiasi altra cosa: il piacere della visione (inteso come pura visione, sguardo senza pensiero) deve essere preminente e l'unica chiave di lettura possibile di L'éden et après. Parlare di trama è inutile, fondamentalmente; piuttosto, si può parlare di temi trattati, di interruzioni di forma e di deformazioni della realtà. Si inizia con la messinscena, il cinema nel cinema, cos'altro?, si recita la commedia; il bar Eden è il centro della scena, non in quanto ritrovo di un gruppo di universitari, ma come vero e proprio non luogo: linee geometriche, colori à la Mondrian, piani infiniti, specchi, sovrapposizioni, punti di fuga. E si deve, per forza parlare di Marienbad, di cui Robbe-Grillet è autore, o meglio scrittore, e del lavoro fatto sulla memoria, sui piani temporali e spaziali e i loro incroci continui e generativi; così come per forza bisogna parlare di Bataille, e chi se no?, per la rappresentazione dell'erotismo e delle sue molteplici sfaccettature, delle perversioni (?, si può?) e del sadomasochismo vero e proprio, La storia dell'occhio, anyone?; ed infine, permettete, una piccola citazione al Durrenmatt de L'incarico, posteriore, è vero, eppure necessario per comprendere al meglio tutta la sequenza di Djerba.
Ogni inquadratura è un'opera d'arte: i colori, solo primari, sono incredibili e vividi come poche volte in scena; notevole il lavoro sulla scenografia (e gli attrezzi di scena, menzione d'onore per le porte e la gabbia e la storia del quadro-panorama-visione) e sui costumi ovviamente. Giustamente, in un lavoro così focalizzato sulla forma, la storia è solo sogno, o premonizione, e quindi, come scriveva il grande scrittore polacco, deformazione della realtà; nulla è avvenuto (succederà? è così importante?), anzi; ogni singolo evento ci viene raccontato all'inizio, nella scena della polvere della paura, in cui il montaggio con continui tagli ci mostra tutto ciò che Violette desidera, sogna, immagina, sperimenta. La parte più debole, forse, è quella appena prima del ritorno all'Eden: il tema del doppio è sempre intrigante e così è anche in Oltre l'eden, seppur leggermente forzato e fuori fuoco. Ma che importanza può avere, quando tutto è così piacevolmente stimolante alla vista, quando si espandono le possibilità che il cinema ha e da senza paura, cercando e ricercando in continuazione. E ora N. a pris les des..., il film gemello di questo Oltre l'eden, per vedere dove e come si può andare. Altrove, senza dubbio.
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