giovedì 26 maggio 2016

VISIONI - Nunmul - Tears



Seconda prova di Sang-Soo Im, e inconsueta nonostante sia solamente un sophomore (inconsueta in rapporto alla filmografia successiva, chiaramente), Nunmul (Tears nella versione internazionale, anche qui in Italia, al TFF) è un malinconico coming of age.




Racconto di formazione, dunque, anche se "sbagliato" (sì, tra virgolette) secondo i canoni semi-obbligatori del genere perché niente cambia, né la condizione iniziale, né l'interiorità dei protagonisti, e nemmeno vuole cambiare perché questo è, la gioventù, un continuo e costante rifiuto, un continuo e costante procrastinare. I quattro attori protagonisti, tutti esordienti o quasi (e con un proseguimento di carriera per alcuni modesta/inesistente, per altri convinta/convincente), sono quattro ragazzi alle prese con la Corea del Sud di fine anni '90, inizio anni zero. Ognuno con una storia alle spalle, di abusi, di ribellione, di desiderio di libertà, di troppa libertà, ognuno con lo spirito di iniziativa, di voglia di farcela, di bisogno di autodimostrazione. Il loro percorso li porterà a violenze, botte e aborti, a vivere in strada dormendo nelle cabine telefoniche, a prostituirsi in cambio di soldi e protezione. Ok, sembra tutto scritto da un cazzo di cattolico, ma ciò che secondo me distingue Tears da un qualsiasi film di Larry Clark, per dirne uno (e al di là della morbosità verso i propri attori del regista americano, detto con la massima stima, eh), è l'assenza di maledettismo e tragedia, scomparsi in favore di una patina nostalgica clamorosamente efficace (penso Sang-Soo Im volesse omaggiare la propria adolescenza, ipotesi eh!) e divertita, priva di pesantezza e morale (e insegnamenti del cazzo). Non mancano per questo parti più dure e pugni in faccia allo spettatore: il finale ne è un esempio lampante; non c'è via di scampo contro il tempo (e di conseguenza contro il proprio destino), anche se si fugge in moto e i capelli si scompigliano, anche se si crede di lasciarselo alle spalle. Finale interessante e caratterizzato da una ripresa di un'inquadratura iniziale, come a dire siamo ancora qua, il cerchio si chiude, girato come fosse un videogioco anni zero, protagonista contro (vs) boss finale, chi avrà la meglio?




La prima parte è molto più efficace e concisa della seconda (che inizia diciamo dalla prima fuga dal bar bordello in poi) che si perde qua e là, trascinandosi in sequenze e scene che un più accurato lavoro di editing avrebbe potuto tagliare. La camera è a mano, tantissimo, per niente ferma e sempre addosso ai protagonisti; dimostra, inoltra, in qualche occasione, immaturità e inesperienza (per esempio si è voluto girare, credo a tutti i costi, e lo farei anche io, sia chiaro, una scena in cui la camera va incontro ai quattro ragazzi in moto, muovendosi in direzione contraria fino a incrociarli; ecco, scena fintissima e inutile, ma ognuno ha i suoi propri vezzi). Ed è proprio questo a farmi propendere per l'aggettivo inconsueto, considerando che le pellicole successive del regista coreano, e le ultime in particolare (Taste of Money e The Housemaid per esempio), sono tutte patinate e leccatissime, fotografia perfetta e movimenti di camera puliti e mai banali. Quello che Nunmul ha, in più, è il calore e l'affetto verso i personaggi, la nostalgia verso ciò che si è stati, probabilmente, e non si sarà più.

7-

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