martedì 31 maggio 2016

VISIONI - Bullet Ballet



Bullet ballet, del 1998, è un lavoro di Tsukamoto riconoscibilissimo e ingiudicabile, dal sapore quasi pinku, quasi classico, quasi romantico. è, forse, il bianco e nero a dare questa patina affascinante e personale alla pellicola giapponese; o, invece, è solo una lettura superficiale e approssimativa e, sotto all'impronta visiva, c'è molto altro.




Come già detto Bullet ballet è tsukamotiano fino all'estremità: l'inizio, lo sguardo e l'urlo e la velocità che rende impercettibili i gesti; lui, il regista in persona, che ci mette la faccia e il corpo e le sensazioni, e poi Tokyo, che ti distrugge ed è un sogno, nient'altro che un sogno; la carne, la violenza, l'autodistruzione, la triade che marchia ogni singolo film di Tsukamoto. La storia, e come sempre di storia si può parlare, non parlare, accennare, forse: un regista, dopo il suicidio della fidanzata, di cui porta il peso della colpa (necessaria ma non necessariamente a ragione), si perde nei bassifondi di Tokyo alla ricerca di una pistola, la Chief Special, per uccidere, uccidersi, rimanendo invischiato in una lotta tra gang, tra punk, tra maledetti, tra quelli come lui. Ecco, ovviamente, non si può evitare di notare la confusione che regna dal punto di vista narrativo, con passaggi accennati e altri bruschi e inizialmente (e non solo) incomprensibili; confusione che non è per forza fastidiosa perché stimola lo spettatore a riempire i buchi, a sforzarsi nel tentativo di comprendere, di rispondere. Anche se, anche se, non è sempre conscio, questo passaggio, e nemmeno facile (e qui si potrebbe aprire un mondo di discorsi, punti di vista, critiche e blabla). I personaggi sono estremamente affascinanti, o forse è solo Tokyo eh; la ragazza, Chisato, è inafferrabile e favolosa, e così Goto, e poi il capo con i capelli lunghi e il boxeur e il venditore fasullo di pistole e la puttana che cerca di avere un permesso di soggiorno e tutti gli altri.




Tecnicamente, il bianco e nero, che aiuta e smorza e romanticizza il tutto, è perfetto e incredibilmente vivo; non così estremo come il colore (come ad esempio in Tokyo Fist), ma neppure molle e innocente a causa del forte contrasto e dell'incredibile uso della luce naturale (e aperture, e fessure, e spazi), accompagna la distruzione e la dilatazione narrativa. E, poi, la camera a mano che corre e insegue Tsukamoto stesso, come un cane che si mangia la coda (si dice, si dice), nemmeno un attimo di tregua, non si respira con il regista giapponese, non lo si può proprio fare; e tutto questo in una pellicola che del ritmo non fa il proprio punto di forza, anzi, slow-paced direbbe qualcuno, o forse è già stato detto. Chiudendo, che di più non si può, insomma guardatelo e amatelo, perché imperfetto, perché diamante grezzo e impazzito, posso dire che, per ora, è il lavoro di Tsukamoto che preferisco, molto di più dell'osannato Tokyo Fist, senza dubbio, proprio perché molto meno detto, molto meno frontale. Quasi ragionato, questo Bullet Ballet, quasi intellettuale; e poi ci si ripensa ed è Tsukamoto, ragazzi, e di queste cose non si può parlare.

7

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