lunedì 12 dicembre 2016

DAL BASSO#19 - Spasmo - Umberto Lenzi - 1974



La lettura della sterminata carriera registica di Umberto Lenzi è, in un certo modo, l'analisi stessa dell'evoluzione del gusto cinematografico all'italiana, e il boom del periodo lenziano '68 - '82 (circa) è sintomatico di un momento storico in cui fare film voleva dire osare, con cattivo gusto (non negativamente, eh), e sperimentare, senza vincoli alcuni.




Spasmo è un giallo all'italiana, in un qualche modo classico, datato 1974; classico, appunto, ma già spinto da quelle che erano le forze argentiane e baviane verso il weird, il sanguinolento e il complicato. La risposta di Spasmo, e di Lenzi stesso, è un intreccio incredibilmente complesso, in cui niente è come sembra (diciamo che, spoiler, ricorda vagamente Il rosso segno della follia, sempre dal punto di vista della trama, eh) e in cui i personaggi sono in continua evoluzione. Purtroppo, un percorso così inutilmente difficile finisce per risultare noioso, perché incomprensibile in maniera limitante e non verso lo spettatore, quasi chiuso in se stesso nella dipanazione di un intreccio che sembra un film e non una storia, un racconto ma non reale. La distanza dai classici con Carrol Baker sembra enorme, sono scomparsi il sensuale e l'erotico, sono stati eliminati il malsano e il torbido, a favore di una maggiore attenzione per l'incredibilità della trama e per i dettagli visivi à la Bava (per intenderci, i continui rimandi agli occhi, i favolosi manichini, i rapaci, e così via). La trama, in breve, dopo tutto questo preambolo: Christian, affascinato da Barbara e deciso a seguirla, si ritrova coinvolto in un omicidio di cui scompare il cadavere. E le persone intorno a lui sembrano non essere ciò che dicono, e i ricordi riaffiorano e i fratelli cattivi compaiono in scena e ci sono torri abbandonate, rapaci, pozzi e forbici da giardiniere. E strani manichini che compaiono sulle scene dei delitti. Va detto che Lenzi è, straordinariamente, capace nel gestire una trama così complessa e tutto regge, tutto si chiude, nonostante l'assenza di mordente e fascino; ogni particolare ha senso nella spiegazione dell'intreccio, ogni piccolo dettaglio (della storia) si rivela fondamentale per lo spiegone finale (assente, eh, per fortuna).




Finalone, invece, molto ben riuscito, con la morte del protagonista straziante e necessaria e un Fritz-Ivan-Rassimov perfettamente calato nella parte; la parte migliore rimane, senza dubbio, la resa dei conti con il filmato in proiezione e i bambini pazzi e dolcissimi e l'interruttore per bloccare l'8mm sui fotogrammi più divertenti (per lo spettatore, eh, che si consuma la tragedia, in scena). Visivamente, tutto molto bene, come già detto; è un Lenzi maturo e conscio dei propri mezzi. La colonna sonora di Morricone è anonima, insomma, non all'altezza degli standard del maestro; ottimo, invece, il brano originale che fa da struttura alle scene importanti. Mi manca ancora molto, troppo, Lenzi per avere un giudizio equilibrato e complessivo di tutti gli aspetti, ma, senza dubbio, si può affermarne la centralità (all'interno di un genere?) e la coerenza, e rispettare la sua particolare visione, scandalizzante e divertita.

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