venerdì 31 luglio 2015

CORTI #1 - Meshes of the afternoon



Al di là del fatto che è uno dei corti più famosi e apprezzati di sempre (almeno per quanto riguarda la critica), Meshes of the afternoon di Maya Deren ha il grande e indubbio pregio di risultare contemporaneo anche a uno spettatore di oggi e di anticipare un sacco di temi futuri, dallo sci-fi a Lynch (che è ormai un genere a sé).




Partendo dal tecnico, il montaggio sfrutta (al meglio dei mezzi) l'uso dei tagli sul movimento di camera, per dare una fluidità maggiore, un'idea di continuum senza interruzioni. Il bianco e nero contrastato è perfetto e accompagna al meglio le inquadrature sghembe e quasi costantemente senza via di fuga. Il budget è molto basso e si vede, eppure tutta una serie di accortezze restituiscono un risultato che, anche tecnicamente, è pregevole. La musica, successiva alla prima produzione, è del terzo marito della Deren, Teiji Ito; è incredibile, nella sua asciuttezza, come riesca a sottolineare, far emergere, comprendere le sensazioni della donna, dell'inconscio, dell'es. Meshes of the Afternoon è, come molto cinema surrealista, pervaso di simboli, la chiave, il fiore, il coltello, lo specchio, la morte come Triste Mietitrice; il tutto in un'ambientazione in cui la continuità spazio-temporale (anche per merito del montaggio) non è lineare, assolutamente.




E quindi, il tema del sogno, l'incubo come contenitore di ciò che non capiamo né comprendiamo, i simboli come rivelatori della prigionia (?) della donna, la chiave, a cui è sottomessa, il coltello, la liberazione?, il desiderio? E soprattutto, la ripetizione, la sovrapposizione (qualcuno ha detto Triangle?), l'inseguimento della morte, la premonizione di ciò che sarebbe successo con il ritorno dell'uomo, marito?, il confronto con le diverse facce di sé, fantascienza pura e allo stesso tempo falsa, in quanto onirica, in quanto semi-involontaria. Ed infine, il suicidio, non si sa quanto figurato, la decisione di cambiare la chiave con il coltello, lo stupore! È interessante notare come al reale, inteso come visibile, comprensibile, percepibile, sia lasciato il minimo spazio possibile, e sia quello più difficile da riconoscere, in mezzo ai frammenti di sogno; potrebbe essere semplicemente un loop terrificante, potrebbe tutto essere immaginazione. Da guardare e riguardare, per cogliere gli aspetti più nascosti, il femminismo?, il tempo e la sua spazialità?, per capire come Maya Deren, nel 1943, avesse già osato molto, senza abbracciare l'astratto puro, ma rifugiandosi nella rappresentazione del reale, dei suoi confini, delle paure e dei timori più segreti e inconfessabili.

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