venerdì 17 giugno 2016

VISIONI - Subete ga kurutteru - Everything goes wrong



Lo ammetto, di Seijun Suzuki ho visto solo Branded to Kill. Ecco, l'ho detto (e se devo dirla tutta, non sono ferrato nemmeno sull'omonimo Norifumi, che comunque qui non c'entra molto, e di cui spero di parlare). Quasi da neofita, quindi, mi sono apprestato alla visione, e con un ricordo lontano, di una trama assurda, di fantastiche inquadrature e grande visione d'insieme.




Uno dei cinque film girati da Suzuki nel 1960, Everything goes wrong (questo il titolo internazionale, che riprende la battuta del film che dona il titolo originale alla pellicola) sorprende sin dalle prime battute per l'incredibile fluidità. Fluidità che pervade lo sviluppo del racconto, inglobandolo o venendo inglobata. Tutto con naturalezza, ovviamente; e, quindi, la macchina da presa non è mai ferma, mai, nemmeno un istante (iperbole, chiaramente, anche se...), e si muove attraverso (dentro) la città seguendo i giovani, le macchine, la musica. È un film jazz, e non solo per la musica che si porta appresso, perché si muove sinuosamente e ha un ritmo sincopato e ineguale; è un film pop, allo stesso tempo, perché manifesto dell'occidentalizzazione dell'Est, e chi l'avrebbe mai detto?, e perché affine, per temi e stile e iconicità al buon Jean-Luc di A bout de souffle e Bande Apart, senza la patina avant-garde, ovviamente, senza la nomea di artista, necessariamente, perché la Nikkatsu era inflessibile. È un film lontano, anche, da Branded to Kill (scusate il paragone non necessario, ma è l'unico che posso fare) perché, a quanto ho capito, Suzuki era solo all'inizio, nel 1960, (o forse a metà) della sua complessa maturazione artistica. Visivamente, siamo sui livelli dell'eccellenza, ed è davvero avanti di anni, registicamente: le riprese sotto le gambe, il carrello laterale che si muove tra le stanze, i piani sequenza, i tagli, le lunghe corse in macchina, wow!




La trama (e, spoiler, finisce male): Jiro, giovane ribelle (ma neanche troppo, eh, cioè non è certo James Dean e neppure Belmondo), con una difficile situazione familiare (ma nemmeno troppo) si lascia vincere dalla noia e dall'avventura, dal desiderio di crescere e dalla voglia di decidere. Fino alla resa dei conti che, climax drammatico compreso, non cessa mai di essere e esistere senza importanza, come dimostrerà poi il giornalista alzando le spalle (del resto, la buona volontà non basta, subete ga kurutteru). Ecco, proprio la trama è, forse, il punto debole del film, sempre se di trama si può e vuole parlare; questo perché l'interesse dello spettatore (e prima ancora del regista) è focalizzato sull'atmosfera, sul decadimento morale senza condanna (da parte della società e nemmeno da parte dello stesso Suzuki), sulla gioventù, o meglio, sulla giovinezza. E poco importa se l'attore principale è poco credibile, con quelle sue facce, e poco conta se tutto è esagerato e sproporzionato rispetto ai moventi (inteso come motore dell'azione) di Jiro; il moderno (pop) è arrivato e nulla ha senso (e importanza), tutto deve essere cancellato, tutto risulta incomprensibile (la scena con Jiro e Toshimi a letto, e Nambara in piedi che cerca di spiegarsi, è forse la più brillante in tal senso) a chi decide di tapparsi il naso, le orecchie, gli occhi. Ovviamente, le influenze che Everything goes wrong ha esercitato (più in generale Suzuki, forse) sono palesi, Tarantino su tutti, su tutti i post-moderni, ma è un discorso noioso e poco interessante. Grande, grandissima colonna sonora.

7,5

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